Palazzo Rota

San Vito al Tagliamento

Sulla piazza di San Vito al Tagliamento, ora chiamata “del Popolo”,  si affaccia il bellissimo Palazzo Rota, oggi sede municipale, impreziosito da un elegante cortile interno e da un suggestivo Parco,  annesso al palazzo.
Per  limitarci alle tracce  legate alla memoria pasoliniana, vale la pena ricordare che l’edificio fu uno dei palazzi che i contadini della zona occuparono il 7 gennaio 1948 per costringere i possidenti terrieri alla firma di accettazione delle clausole di applicazione del Lodo De Gasperi.
Bersaglio della protesta fu soprattutto  il conte e senatore (sotto il fascismo) Francesco Rota, il più grande proprietario terriero di San Vito, personaggio bene imparentato a livello nobiliare, una figlia del quale, Giuliana, sposò il primogenito di Pietro Badoglio, il maresciallo d’Italia. Il conte era l’esponente dell’ala intransigente dei proprietari che non volevano cedere alle richieste delle centinaia di contadini disoccupati. I rivoltosi non si resero responsabili di saccheggi, ma furono caricati ugualmente dalla polizia e dispersi.
Da queste vicende Pasolini trasse spunto per una parte della trama del romanzo friulano Il sogno di una cosa, edito a Roma nel 1962.

Le parole di Pasolini

"Forza compagni!" verso la villa dei Pitotti

"«Sono andati in giù, verso la villa dei Pitotti », rispose il moro, con un gesto di minaccia. «Forza compagni!» aggiunse, gridando dietro ai due fratelli che si erano messi a correre giù per la strada delle Scuole. Dietro a queste, al di là della roggia che nei secoli passati circondava le mura di cinta di Gruaro, sorgeva in mezzo a un piccolo giardino, la villa dei Pitotti. Il giardino, la strada davanti, lungo il ciglio della roggia, erano tutti occupati; le finestre della facciata della casa erano chiuse. [...]
«Sono là dentro che muoiono di paura», disse Livo.
«Ehi, padroni, aprite», gridava Susanna, facendo qualche passo indietro sulla ghiaia, e guardando verso le finestre. «Aprite, altrimenti vi sfondiamo la porta». Dopo qualche minuto il battente si aprì e apparve sul vano un uomo di cinquant'anni, grosso, alto, calvo, che teneva a tracolla una doppietta. Era lo stesso Pitotti, uno dei più ricchi proprietari del mandamento. «Che cosa volete?» domandò.
«Vogliamo parlare con lei», disse a voce molto alta Susanna.
«Siete un centinaio qui», disse Pitotti,«non vorrete mica entrare tutti quanti in casa mia.»
«Per parlare basta anche uno solo», disse sempre gridando Susanna.
«Va bene», esclamò Pitotti, «ma entri una commissione formata il massimo da quattro dei vostri.»
Dopo qualche minuto di incertezza entrarono nel corridoio Susanna, Blasut, Jacu e Eligio.
«Di qua», disse Pitotti.
Li fece entrare nel suo studio, dove c'era una grande scrivania, lucidata e lustrata accuratamente, come tutti gli altri mobili e le scansie, che si riflettevano sul pavimento, ma ricoperta da scartoffie e volumi polverosi e ingialliti. Alla scrivania stava seduto lo zio di Pitotti, lui pure alto e calvo, ma, per la vecchiaia o la paura, le mani gli tremavano. Pitotti andò a mettersi in piedi dietro alla scrivania.
«E allora?» disse. Nessuno degli operai aveva coraggio di parlare."


L'episodio, tratto dal romanzo Il sogno di una cosa, racconta il momento della rivolta dei braccianti e dei disoccupati contro i proprietari terrieri per l'applicazione del Lodo De Gasperi.
Nella Destra Tagliamento la lotta riguardò in particolare alla fine di gennaio 1948  la cittadina di San Vito, mimetizzata nel testo sotto il nome di Gruaro, in cui i rivoltosi giunsero anche a occupare le case dei padroni. Fu il caso del palazzo del conte  e senatore (sotto il fascismo) Francesco Rota, il più grande proprietario terriero di San Vito, personaggio bene imparentato a livello nobiliare. La seconda moglie aveva a che fare con i boemi Wallenstein, presso i quali era morto Giacomo Casanova nel 1798. Invece una delle figlie di Rota, Giuliana, sposò il primogenito di Pietro Badoglio, il maresciallo d’Italia. Il conte era l’esponente dell’ala dura, quella dei proprietari che non volevano cedere alle richieste delle centinaia di contadini disoccupati, che poi furono caricati e dispersi dalla polizia.
Nel romanzo di Pasolini il conte Rota è mimetizzato nel nome Pitotti, che esistevano realmente ed erano una famiglia di piccoli possidenti terrieri di San Giovanni di Casarsa.

Edizione consultata:

P.P.Pasolini, Il sogno di una cosa, in Romanzi e racconti, a cura di W.Siti e S. De Laude, 2 voll., Mondadori, Milano, 1998 ["I Meridiani"], v. II, pp. 75-76.

Luoghi associati:

Palazzo Rota