Un paese di temporali e di primule

Narrativa

Guanda, Parma, 1993

Un paese di temporali e di primule è il suggestivo titolo del libro-antologia che, grazie alla cura di Nico Naldini, contribuì per primo a far conoscere la ricchezza e la genialità dell’impegno letterario e culturale del Pasolini friulano. Raccoglie scritti vari che, già comparsi in varie occasioni giornalistiche tra il 1945 e il 1951, sono organizzati in quattro sezioni.
La prima e più cospicua, sotto il titolo Foglie Fuejs, comprende racconti e prose autobiografiche che, per la gamma delle variazioni espressive, già anticipano l’evoluzione futura dello scrittore, come nel caso de La rondinella del Pacher, poi confluita con modifiche significative in Ragazzi di vita. La seconda sezione, intitolata Di questo lontano Friuli, accoglie saggi lungimiranti sulla lingua friulana, come manifestazione di una lunga tradizione e come mezzo linguistico privilegiato per la poesia d’arte. Ai temi dell’autonomia regionale, che coinvolsero direttamente Pasolini  tra il 1945 e il 1947, sono dedicati i quattro interventi della terza sezione Il Friuli autonomo, dove l’autonomismo friulano è interpretato come necessità soprattutto culturale e linguistica.
La quarta sezione Dal diario di un insegnante raccoglie infine le riflessioni pedagogiche maturate con le esperienze di insegnamento a Versuta e a Valvasone, dandone un’ulteriore prova anche nell’Appendice che, tra altri scritti (un frammento del dramma Il cappellano e la prosa de Il disprezzo della provincia), raccoglie i versi composti dal maestro Pasolini per gli scolari di Valvasone.
Il libro è preceduto da un ampio saggio introduttivo di Nico Naldini, autore di pagine di alta intensità in cui i ricordi del testimone diretto si intrecciano con l’interpretazione del giovane Pasolini di Casarsa. Da ricordare che il titolo è un prelievo dal poemetto Poeta delle ceneri, risalente agli anni 1966 ed edito postumo nel 1980 in «Nuovi Argomenti» (luglio-dicembre 1980) a cura di Enzo Siciliano.
Il libro ha conosciuto un riedizione nel 2015, sempre per i tipi di Guanda.

 

Citazioni tratte dall'opera

Una fotografia del '29

“Rivedo una fotografia del ’29, in cui io con un vestito a righe marroni e bianche, compaio sul balcone della Canonica, insieme a una trentina di fanciullini, miei compagni di classe. E' straordinario, ancora non mi riesce di commuovermi di fronte al mio aspetto fiero, al mio ciuffo impudente, alla tenerezza di bronzo della mia carnagione; ancora  non mi riesce di non pensare a quel Pier Paolo, come a una specie di Telemaco o di Astianatte, ma già rotto alle avventure più seducenti. Eppure so assai bene so assai bene cos'era quel ragazzino: era, mitologicamente, qualcosa come un incrocio fra Catone e un piccolo Belzebù.”


I dispetti, racconto autobiografico di Pasolini, è uscito il 22 giugno 1947 su "Il progresso d'Italia". E' stato poi ripubblicato anche in Poesie e pagine ritrovate, a cura di Andrea Zanzotto e Nico Naldini, Lato Side 25, Verona 1980, pp.130-131, e in Un paese di temporali e di primule, a cura di Nico Naldini, Guanda, Parma, 1993, pp. 130-132.

Edizione consultata:

P.P.Pasolini, Romanzi e racconti, a cura di W.Siti e S.De Laude, 2 voll., Mondadori, Milano, 1998 ["I Meridiani"], v. I, p. 1318.

Un luogo assoluto dell'universo

“Ricordo il mio primo treno: sono in uno scompartimento di legno con mia madre: mio fratello, no, non c’era. Avevo quindi meno di tre anni. Ma doveva essere la seconda volta che andavo a Casarsa, perché avevo già dei ricordi. Il treno era perfettamente verticale, rispetto alla mèta: ed era la linea più breve che congiungesse il punto di partenza (Bologna? Belluno?) al punto d’arrivo. Ma di Casarsa, non avevo altro ricordo che la casa di mia madre, e soprattutto la botteguccia di merceria di mia zia, a pianterreno. Sicché il treno puntava direttamente verso questa: le rotaie vi arrivavano fin contro la porta aperta e un po’ sgangherata, dipinta di un color verdolino ormai ridotto a un pulviscolo, i vetri pieni di file di cartoline con cuori, rose, ragazze e soldati. Andava dritto lì dentro, in quella bottega di mia zia, perduta in fondo alla terra, alle mie spalle: davanti a me, vicina, c’era mia mamma, che sapeva, che era una di color che sanno, anzi lo era per definizione. Era giovanissima: una bambina anche lei -tanto più che lo è tuttora. Ricordo che era vestita di chiaro, con la sua eleganza di quegli anni (1925,1926). Le rotaie, che puntavano drittissime su Casarsa, come su un luogo assoluto dell’universo, correvano in una campagna assolata: la prima campagna del mondo, appena creata. La vedevo per la prima volta in tutta la storia umana. Era una campagna verde ma bruciata, con dei cespugli sotto l'argine della ferrovia, le cui traversine dovevano ardere al sole. Probabilmente poco più in giù, cominciavano le file di gelsi e di vigne, e le macchie dei boschetti lungo le rogge. Ma io non vedevo altro che una grande radura erbosa, bruciante, irta di qualche polveroso cespuglio che arrivava fin sotto la scarpata. E l'odore di quel caldo mi pareva stupendo, come la vita stessa."


Il treno di Casarsa venne richiesto a Pasolini nel 1957 dalla Direzione Generale delle Ferrovie dello Stato, che aveva progettato un volume antologico sul viaggio in treno e aveva ottenuto il contributo di numerosi scrittori italiani.

Edizione consultata:

P.P.Pasolini, Il treno di Casarsa, in Un paese di temporali e di primule, a cura di Nico Naldini, Guanda, Parma, 1993, pp. 162-163.

Odore di terra romanza

"Chi parte da Venezia, dopo un viaggio di due ore  (se prende  l'accelerato, magari quello del sabato sera, pieno di studenti e di operai) giunge al limite del Veneto e, per dissolvenza, entra nel Friuli. Il paesaggio non sembra mutare, ma se il viaggiatore è sottile, qualcosa annusa nell'aria.
E' cessata sulla Livenza la campagna dipinta da Palma il Vecchio e da Cima. Le montagne si sono scostate, a nord, e appiattite a colorare il cielo di un viola secco, con vene di ghiaioni e nero di boschi appena percettibile contro il gran velame; e il primo Friuli è tutto pianura e cielo. Poi si infittiscono le rogge, le file dei gelsi, i boschetti di sambuchi, di saggine, lungo le prodaie. I casolari si fanno meno rosei, sui cortili spazzati come per una festa, coi fienili tra le cui colonne il fieno si gonfia duro e immoto. Ma è specialmente l'odore -che fiotta dentro lo scompartimento svuotato - a essere diverso. Odore di terra romanza, di area marginale. Sulla dolcezza dell'Italia moderna c'è come il rigido, fresco, riflesso di un'Italia alpestre dal sapore neolatino ancora stupendamente recente".


Il Friuli è un testo radiofonico di Pasolini,  trasmesso dalla Rai l'8 aprile 1953 alle ore 18.45 nel programma Paesaggi e scrittori. Ciclo dedicato al Friuli.

Edizione consultata:

P.P.Pasolini, Il Friuli, in Saggi sulla letteratura e sull'arte,a cura di W. Siti e S. De Laude, 2 voll. Mondadori, Milano, 1999 ["I Meridiani"], v.I, p. 459

Luoghi associati:

Casa Colussi Piazza Italia

La rondinella del Pacher

"Girarono intorno al Pacher Piccolo, e giunsero ai piedi di un pioppo. Si arrampicarono. Da lassù si vedeva mezzo Friuli, con i deserti di ghiaia del Tagliamento, da una parte, e in fondo la barriera delle montagne, azzurre, corrose dalla luce, sotto una leggera fila di nuvole, splendide e azzurre anch'esse. Sotto i loro piedi i due Pacher sfolgoravano  rasentati dall'argine della ferrovia, che puntava verso i campanili di Cordovado, di Teglio, di Cintello...
Sul Pacher Piccolo continuavano a giocare le rondini, sfrecciando sull'acqua. Ad un tratto Velino - sul pioppo mosso dal vento come l'albero di una nave - si mise a gridare: «Guarda, guarda, in mezzo al Pacher Piccolo, una rondine!».
Una rondine, troppo ardita, sfiorando l'acqua si era abbassata fin sotto il pelo, e ora vi si dibatteva dentro, affogando. Si vedevano le sue ali nere agitarsi e smuovere in larghi anelli le acque stagnanti del Pacher.«Annega annega», gridava Velino. Erio, ch'era più in basso, si lasciò scivolare giù lungo il tronco liscio, e saltò sull'erba tutto scorticato. Ora, dal basso, la rondine pareva ancora più lontana dalla riva, perduta nel centro del laghetto. Erio si calò nell'acqua fin che gli giunse al petto, poi si mise a nuotare in direzione della rondine. Velino lo stava a guardare dal pioppo. Quando Erio fu vicino alla rondine, Velino lo vide che tentava di afferrarla, ma ogni volta che la toccava, ritirava come spaventato la mano.  «Che fai?» gli gridò. «Perché non la prendi?» «Mi becca», gridò Erio. Velino rise, scese dal pioppo e andò anche lui coi piedi dentro l'acqua. Erio intanto si era deciso ad afferrare la rondinella, e ora nuotava pian piano verso la riva; appena vi giunse, Velino gli prese la rondine dalle mani. «Perché l'hai salvata?» gli chiese. «Era bello vederla annegare.» Erio non gli rispose; riprese la rondine tra le mani e la guardava. «E' piccola», disse,«adesso lasciamo che si asciughi.»
Ci volle poco perché si asciugasse; dopo cinque minuti rivolava tra le compagne nel cielo del Pacher, e Erio ormai non la distingueva più dalle altre".


Il racconto, scritto in Friuli, fu pubblicato a Roma su "Il Quotidiano" del 3 settembre 1950. Con inserti di gergo romanesco, l'episodio del salvataggio della rondine sarà trasposto da Pasolini nel finale del primo capitolo di Ragazzi di vita.

Edizione consultata:

P.P.Pasolini, La rondinella del Pacher, in Romanzi e racconti, a cura di W.Siti e S. De Laude, 2 voll.,  Mondadori, Milano, 1998 ["I Meridiani"], v. I, p. 1395.

Luoghi associati:

Laghetto del Pacher

L'esplosione di Charleroi

"Ricordo il giorno in cui sono partiti. La stazione di Casarsa era piena di gioventù. Quelli di San Giovanni  erano i più allegri: splendidi come pioppi avevano attorcigliati attorno ai colli i fazzoletti rossi e viola e reggevano i bagagli come aratri.  I casarsesi erano più muti, sornioni: solo quelli delle Aguzze reclamavano intorno a sé l'aria dell'addio lanciandosi frasi corte come ruggiti. Alessio, sfolgorante nel suo biondo, non riusciva a far dimenticare intorno alla sua persona il vigneto dei Tamajòt, biondo di pinogrigio e nostrano; Bruno Cesarin e Davide, vicini di casa, e ora probabilmente di posto nel treno, rivolti torvamente alle immense distanze che li aspettavano, la Lombardia, la Svizzera ... Se ne stavano tutti in gruppo, una trentina, davanti alla stazione bombardata, con intorno un nugolo di amici, e più in disparte, le donne ammutolite.
L'accelerato comparve in fondo ai binari, col suo pennacchio di fumo; era l'ultima volta che lo sentivano rombare sul ponte delle Aguzze, e quando fu vicino, dagli sportelli si videro le facce ridenti e vivide degli altri emigranti, ragazzi di Cividale, di Gemona, di Palmanova, di Tarcento ... La locomotiva, sorda ai loro canti, puntava su Pordenone, e sull'alta Italia, verso il Nord; ansava in direzione di un 1948 nero di antracite, verso un 1949 rovesciato su una distesa fuligginosa di gru e di guglie, su un 1950 che l'esplosione di Charleroi copre di silenzio."


L'articolo, con il titolo Sopra il nostro capo due chilometri di terra, apparve su "Il Quotidiano" del 22 maggio 1950. E' ripreso nella raccolta Un paese di temporali e di primule, curata da Nico Naldini, con il nuovo titolo di Davide in Belgio.
Pier Paolo Pasolini scrisse questo testo nel 1950, dopo la morte in miniera di trentanove lavoratori a Charleroi, in Belgio. Al centro è un ragazzo friulano, Davide, che torna a casa dal duro lavoro all'estero per qualche giorno e poi riparte dalla stazione di Casarsa con altri giovani emigranti.
Sei anni dopo, l'8 agosto del 1956, nella sciagurata miniera di Marcinelle morirono 262 uomini, di cui 136 sono italiani.

Edizione consultata:

P.P.Pasolini, Davide in Belgio, in Un paese di temporali e di primule, Guanda, Parma, 1993, pp. 174-175.

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Stazione ferroviaria

Quella mia lingua poetica

"Allora per me il friulano fu un linguaggio che non aveva nessun rapporto che non fosse fantastico col Friuli e con qualsiasi altro luogo di questa terra. Ora che abito quassù, e non ci sono più la nostalgia e la lontananza, ho dovuto studiare più freddamente quella mia lingua poetica ... Da tali meditazioni durate circa due anni e fatte in comune con alcuni giovani amici,  è nata l'"Academiuta di lenga furlana", che è dunque una sorta di modesto félibrige. Glottologicamente torniamo alle teorie dell'Ascoli, cioè all'affermazione dell'esistenza di una lingua ladina; poeticamente questa lingua non è il dialetto degli zoruttiani, e nemmeno il dialetto così suggestivo, parlato dal popolo, ma una favella inventata, da innestarsi nel tronco della tradizione italiana e non già di quella friulana; da usarsi con la delicatezza di un'ininterrotta, assoluta metafora".


Con il titolo Lettera dal Friuli, l'articolo uscì su "La Fiera Letteraria" del 29 agosto 1946.
Il félibrige o felibrismo, cui Pasolini accosta l’esperienza della sua Academiuta di lenga furlana, fu un movimento letterario nato nel 1854 in Francia, a Font Ségune vicino a Vaucluse, che, traendo spunto dal movimento romantico e dall'attenzione da esso mostrata alle identità nazionali e locali, tendeva a valorizzare la difesa della lingua occitana, ponendo la salvaguardia dell'identità culturale provenzale. Figura di punta del movimento fu  Frédéric Mistral.

Edizione consultata:

P.P.Pasolini, Lettera dal Friuli, in Un paese di temporali e di primule, Guanda, Parma, 1993, pp. 211-212.

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Versuta

Morte del partigiano Ermes, mio fratello

"Quante volte ho pensato all'inaccettabilità dell'ingiustizia che pesa sulla morte del partigiano Ermes, mio fratello, a quanto sia inconciliabile la sua persona con la sua morte! Basti pensare che l'8 settembre egli era già nel campo di aviazione di Casarsa a rischiare la vita per portar via armi ai nazifascisti, e da allora non passò giorno che egli non dedicasse, con la purezza e la bontà del diciottenne, tutto se stesso alla Resistenza. Portava giornali e manifestini da Pordenone, dove studiava, a Casarsa e li spargeva per il paese durante il coprifuoco; continuava ad andare a rubare armi nelle caserme: faceva propaganda con un entusiasmo che era quasi imprudenza. E tutto questo in seno al PCI. La sua maturazione politica aveva bruciato le tappe: dalla turpe ignoranza in cui il fascismo immergeva i suoi giovani-fantocci egli era passato, senza crisi, quasi con la purezza, di un fatto naturale, alla luce dell'idea politica a cui la sua generosità senza riserve lo richiamava incessantemente.
[...] Vedo in lui tutta la storia della nostra esistenza familiare, la nostra educazione, gli ideali alla cui luce si viveva quasi disumanamente, senza cioè quegli egoismi e quelle distrazioni, magari invidiabili, che rendevano i nostri compagni diversi da noi. Noi avevamo sempre rivolto il pensiero a non so che imprese eroiche e generose, i nostri giochi erano sempre crudelmente interessati al realizzarsi di una fantasia ossessionata dal Buono e dal Cattivo. Ma ora mi accorgo quanto la natura di Guido fosse sincera e intatta, e quanto assolutamente  egli credesse alla verità della nostra storia familiare e alla certezza dei nostri ideali. Vedendolo camminare da Musi a Porzùs verso una morte che egli avrebbe scelta per essere fedele a una vita così breve ma così creduta, qualche volta non mi sembra di resistere all'angoscia, e mi sembra che per lui sua madre, i suoi libri, i suoi divertimenti debbano avere più valore di qualsiasi cosa al mondo; e allora lo chiamo perché torni indietro verso Musi: «Guido!» lo chiamo. Ma Ermes continua a camminare dritto, sicuro, senza  pentimenti".


L'articolo, con il titolo Una lettera al direttore del "Mattino del Popolo" (Ermes tra Musi e Porzùs), uscì su "Il Mattino del Popolo" dell'8 febbraio 1848.
Pasolini ricorda con dolore ancora straziato la figura del fratello Guido, nome di battaglia partigiana Ermes, a distanza di tre anni dalla sua morte.

Edizione consultata:

P.P.Pasolini, Una lettera al direttore del "Mattino del Popolo" (Ermes tra Musi e Porzùs), in  Un paese di temporali e di primule, Guanda, Parma, 1993, pp. 184-185.

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Cimitero di Casarsa

Valvasone, "una città del silenzio"

"Fu un giorno di pioggia dell'anno 1936. Un cielo patinato di bitume, una campagna di nichel. Giunsi a Valvasone quasi in trance: chi mi assicura che io non abbia gridato davanti al castello? Probabilmente tacqui per via della provvidenziale prosa delle imposte rosse e blu sparse sulla facciata o dei vasi di geranei alle finestre.
La gioia fu completa davanti ai portici a sesto acuto dell'annosa piazza; subito fin da allora, a quattordici anni, scopersi quello che in effetti è il tesoro di Valvasone: il grigio, il nero, il silenzio, la vetustà, le vocali del dialetto.  Con l'andar del tempo questo paese divenne uno dei luoghi sacri del mio grande lucus friulano, e spesso tornavo a visitarlo...
[...] Valvasone è rintracciato da chi vuol visitarlo nel cuore di una campagna che già perde la fastosità della zona delle risorgive e impallidisce nei vuoti delle praterie; si indovinano a Est gli spazi bianchi del Tagliamento e le acque delle rogge, ancora in lievissima discesa, parlano con rigida freschezza dei monti.  Valvasone si trova, oggi, fuori dalle grandi strade: è divenuta una città del silenzio. E' per questo che mi è così caro. Nobiltà, regresso, silenzio: ecco nomi più da Hofmannsthal che da D'Annunzio ... Lo straniero che ne valichi il confine entra in un clima evocatorio: nei grigi, nei neri, nei verdi-smeraldo di questo paese l'antichità non ha nulla di disumano poiché l'architettura delle case appartiene all'epoca tra medioevale e rinascimentale delle case umili. La loro vecchiezza non è dunque nelle epoche ma nel tempo.
Quando io entro nel paese dalla porta di ponente, vicina al castello, dopo una cinquantina di metri mi volto di colpo; allora ho davanti a me lo scenario della castità. La torre con la porta a sesto acuto, le case attigue coi loro portici simili a nicchie, e davanti un prato verde-nero nel cui centro un meraviglioso pozzo ripete il suo antichissimo gesto di danza con la sua pietra lucida e i suoi neri ferri battuti. Questa è bellezza, e come la vera bellezza, non è semplice, ma composta: è occorsa la sovrapposizione dei secoli, la tettonica inestricabile degli odi e delle gioie, ed infine una specie di rassegnazione catartica: casta."


L'articolo, dal titolo "Valvasone", uscì il 16 febbraio 1947 in "Il Mattino del Popolo" e poi fu ripreso con varianti nelle prose de I parlanti.
E' uno straordinario esempio della prosa giornalistica del giovane Pasolini.

Edizione consultata:

P.P.Pasolini, Valvasone, in Un paese di temporali e di primule, a cura di Nico Naldini, Guanda, Parma, 1993, pp.223-224

Luoghi associati:

Castello di Valvasone

A Versuta le prime ore di scuola

"Ricordo che a Versuta, dov'ero sfollato nel '44 -in quel periodo di vacanza morosa di paura e di solitudine- la ricostituzione della mia purezza avvenne improvvisa. A Versuta c'era un ventina di ragazzi che non potevano a causa dei pericoli, frequentare la scuola di san Giovanni. Io e mia madre divenimmo i loro maestri; con che tremore, con che reale interesse mi accinsi a quell'avventura.
Ricordo le prime ore di scuola, così soffuse di un acre e quasi languido senso di verginità,in cui io già incominciavo a manovrare con astuzia il mio candido entusiasmo, facendo della «emozione» qualcosa come una figura retorica di nuova specie, con cui minare il mio discorso di pause, di riverenze, di esclamativi segreti. Ne lievitava un pacato tono di scandalo, di rivelazione, che determinava in tutto il ragazzo uno stato di curiosità per tutto quello che dicevo. La mia emozione si comunicava agli scolari, che sentirono allora per la prima volta l'ambiguo sapore dell'ironia e insieme l'attendibilità dei fatti e delle deduzioni stringenti.
[...] Insomma davo alle mie lezioni una specie di drammaticità, fingendo talvolta addirittura  degli ingiusti cattivi umori, sotto cui lasciavo però ribollire intatta l'allegria con cui mi mettevo in rapporto con essi. Perfino le aride lezioni di grammatica erano divenute un gioco denso di quei contrasti (il buono e il cattivo, il vincitore e il vinto), che i fanciulli non dimenticano mai, nemmeno quando mangiano o vanno a letto."


L'articolo, in cui Pasolini si firmò Erasmo Colùs, uscì il 29 febbraio 1948 su "Il Mattino del Popolo". Su quella testata apparvero altri tre interventi pasoliniani sul tema dell'insegnamento e della scuola, che delineano una sorta di ideale sistema pedagogico, originale nei metodi e negli obiettivi.

Edizione consultata:

P.P.Pasolini, Dal diario di un insegnante, in Un paese di temporali e di primule, a cura di N. Naldini, Guanda, Parma, 1993, pp. 273-274

Luoghi associati:

Versuta

ll filone d'oro degli scolari di Versuta e Valvasone

"I ragazzi che ho trovato qui a Valvasone sono di una sostanza umana meno intensa e complessa. Se penso alla sensibilità, ricca di défaillances e di tendre, di Tonuti Spagnol, o alla applicazione cerebrale di suo fratello Dante, o alla limpidità sottomessa e assimilatrice di Bepino Bertolin, o alla inventività del piccolo fauve sangiovannese, Eligio Castellarin (quello che scrisse «le foglie sorridono») - o comunque alla forza di oggettivazione di tutti i ragazzi di Versuta, che tra gli errori di ortografia mi facevano leggere dei frammenti di italiano duri, umidi e poetici come pezzi di paesaggio, questi qui di Valvasone mi appaiono facili e leggeri. La loro tettonica ereditaria non presenta stratificazioni degne di rilievo; scarse le ricchezze  minerarie della loro anima.
C'è un filone d'oro in F.S., un ragazzo in piena crisi adolescenza, già più alto di me, con un viso che diverrà probabilmente bello, ma che per ora è quasi da sempliciotto non privo di fugaci astuzie. Disdegna il gioco del calcio, è socialista e dice brutte parole.In compenso ha un animo delicatissimo, pieno di riserve e di difficoltà; cede molto agli affetti (c'è un commovente  «pezzo» su un suo compagno molto più piccolo di lui) e agli impulsi; nei temi è un retore della più bell'acqua, ma ha certi squarci poetici o umoristici (autocritica) veramente rispettabili.
C'è un filone d'oro anche in P.F. [...], anche in G.L., un brunetto da libro delle fiabe, il quale mi assicura che ogni sera a letto «pensa alla morte»; degli altri quattordici scolari quasi tutti sono molto simpatici, qualcuno anche interessante, ma nessun altro possiede quell'attitudine speciale, quella sensibilità, magari anche un po' malata, che serve all'uomo per rendersi conto di sé e del proprio mondo. In compenso quasi tutti sono molto curiosi e hanno disposizione ad apprendere; è nel latino che si trovano a loro agio! Hanno imparato il gioco e ci si divertono. Ah sì! la traduzione, in qualsiasi aspetto,è l'operazione più vitale dell'uomo."


L'articolo, a firma Erasmo Colùs, uscì il 29 febbraio 1948 su "Il Mattino del Popolo".  Pasolini vi descrive le sue esperienze di maestro a Versuta e a Valvasone, rivelandosi un acutissimo osservatore, quasi uno psicologo, dei ragazzi affidati alle sue cure pedagogiche.

Edizione consultata:

P.P.Pasolini, Dal diario di un insegnante, in Un paese di temporali e di primule, a cura di N. Naldini, Guanda, Parma, 1993, p.274

Un paese di temporali e di primule