Casa Colussi
Casarsa della Delizia
L’edificio che comunemente è indicato come la Casa di Pier Paolo Pasolini è in realtà la casa del ramo materno del poeta. All’inizio del Novecento, su un lotto che risulta già edificato nella prima metà del secolo precedente, ma con conformazione assai diversa dell’attuale, Domenico Colussi, padre di Susanna e nonno di Pier Paolo, realizzò infatti la Casa Colùs o Colussi, da cui deriva l’edificio esistente. Egli aveva voluto accogliere la sposa piemontese, Giulia Zacco, in un’abitazione che fosse più confortevole dell’antica dimora dei suoi avi e che fu appunto strutturata tra un piano terra, con ingresso dalla piazza del paese, e due piani superiori, collegati da una scala interna e organizzati ognuno con quattro stanze separate da un corridoio centrale.
La coppia ebbe poi cinque figli: quattro femmine (Susanna, Chiarina, Giannina ed Enrichetta) e un maschio, Gino, che in seguito stabilì la sua residenza a Roma. Per accogliere un così ampio clan familiare, il piano terra comprendeva un soggiorno-pranzo, la vecchia cucina con focolare e alari, un salottino con divano e tavolo da pranzo per le occasioni importanti e infine una stanza per lo spaccio della grappa prodotta dal vecchio Domenico Colussi fino agli inizi del Novecento. Alla casa, stando alla preziosa testimonianza di Nico Naldini, figlio di Enrichetta sposata poi con Antonio Naldini, era attaccata una vecchia “dipendenza” che al piano terra era occupata da grandi fosse per la conservazione della vinaccia. Nel cortile interno, sotto una tettoia, era riparata anche la macchina usata per la produzione della grappa: una favolosa“piccola locomotiva”, come ricorda ancora Naldini, ripescando immagini della sua infanzia casarsese.
Il primo piano della casa comprendeva la “zona notte” con quattro camere da letto, occupate rispettivamente, dopo la morte del vecchio Domenico, da sua moglie Giulia, dai coniugi Enrichetta e Antonio Naldini e dalle due figlie nubili del vecchio Colussi, Chiarina e Giannina. Il secondo piano, infine, a parte uno spazio da adibire a soffitta, accoglieva due camere per le due figlie dei coniugi Naldini, la primogenita Anna Maria, poi sposa di Umberto Chiarcossi e madre di Giulietta e Graziella, e Franca, poi sposata Mazzon.
La casa subì varie traversie a seguito dei due conflitti mondiali del Novecento: fu infatti abbandonata dalla famiglia dopo la rotta di Caporetto nell’ottobre 1917 e occupata dalle truppe austriache che erano dilagate in Friuli, ma soprattutto fu seriamente danneggiata nel bombardamento aereo del 5 marzo 1945 che colpì e quasi distrusse l’abitato di Casarsa.
La casa fu poi ristrutturata nell’immediato dopoguerra, con una piccola ma significativa variante rispetto all’impianto edilizio precedente. Infatti, durante i lavori di ripristino, Carlo Alberto Pasolini, rientrato in famiglia dalla prigionia militare in Kenya, mise a disposizione del danaro per realizzare un’idea del figlio Pier Paolo, che aveva chiesto l’aggiunta di un nuovo spazio da adibire a sede dell’”Academiuta di lega furlana”, il cenacolo poetico e letterario fondato il 18 febbraio 1945 a Versuta. Sul lato sinistro della casa fu così organizzata una stanza abbastanza ampia che, come sede ufficiale dell’”Academiuta”, fu inaugurata il 16 giugno 1947, con la presenza dei rappresentanti della Società Filologica Friulana. L’arredo fu reperito con parte dei mobili della famiglia Pasolini, cui si aggiunse anche l’antico “ciavedal” miracolosamente ritrovato sotto le macerie causate dal bombardamento del 1945.
La casa dei nonni materni fu un luogo estremamente significativo nella vita del giovane Pasolini, in anni fertili e decisivi per la sua formazione affettiva, sociale, culturale e politica, a contatto la realtà contadina di Casarsa, la sua lingua e le sue tradizioni.
Pasolini trascorse per la prima volta un anno intero a Casarsa durante l’anno scolastico 1928-1929 in seguito di alcune difficoltà economiche del padre Carlo Alberto. A partire, poi, dagli anni Trenta il giovane Pasolini era solito trascorrervi le vacanze estive con la madre e il fratello Guido Alberto.
Alla fine del 1942, mentre il padre era prigioniero di guerra degli inglesi in Kenya, Susanna Colussi e i due figli decisero di trasferirsi definitivamente a Casarsa, per il timore dei bombardamenti cui era sottoposta Bologna, la città ove risiedevano dal 1937.
Il trasferimento a Casarsa della famiglia Pasolini comportò la riorganizzazione d’uso degli spazi della casa, dove allora abitavano la nonna Giulia Zacco Colussi (morta poi nel 1944) e le tre sorelle di Susanna: Chiarina e Giannina, nubili, ed Enrichetta, già sposata con Antonio Naldini e madre di tre figli.
Al piano terra rimase così inalterato il vecchio salottino dei Colussi, mentre due stanze furono organizzate per il soggiorno-pranzo dei due nuclei familiari Naldini e Pasolini. Lo spazio infine, già adibito dal nonno Domenico a spaccio della grappa, fu arredato con i mobili neri trasferiti lì dai Pasolini e si convertì in “salotto” adattato ad accogliere gli allievi cui Pasolini dava lezioni private, in quello che fu un primo esperimento didattico, poi proseguito a San Giovanni di Casarsa e soprattutto a Versuta.
Al primo piano fu riorganizzata anche l’assegnazione delle quattro camere da letto, che ora passarono rispettivamente alle due sorelle Naldini, figlie di Enrichetta, ai due fratelli Pasolini, a Giannina Colussi e infine a Susanna Colussi. Al secondo piano, infine, due camere furono risistemate per accogliere, una, i coniugi Naldini e, una seconda, il loro figlio Nico.
L’esperienza casarsese di Pasolini si chiuse il 28 gennaio 1950, quando Pier Paolo fuggì a Roma con la madre, perseguitato dall’accusa di atti osceni in luogo pubblico. Negli anni successivi, fino alla morte nel 1975, Pasolini fece sporadiche apparizioni a Casarsa, in compagnia talvolta di noti personaggi, come avvenne nel 1969 in occasione di una visita con Maria Callas rimasta leggendaria nella cronaca del paese.
Le parole di Pasolini
Un libretto di versi
“Quando nel 1943 la mia famiglia venne a stabilirsi definitivamente in Friuli, nella vecchia casa materna di Casarsa, io del Friuli non sapevo praticamente nulla e non conoscevo nessuno se non i mie compagni d’infanzia. Avevo però con me un libretto di versi, stampato da pochi mesi dalla «Libreria Antiquaria» a Bologna, e quel libretto era scritto in friulano: un curioso friulano che una appassionata lettura del Pirona, previe s’intende le mie predilezioni un po’ estetizzanti per la lingua letterariamente assoluta dei provenzali e le delizie di una poesia popolare quale poteva essere quella dei Canti del popolo greco del Tommaseo (...), aveva trasformato da casarsese in una specie di koinè un po’ troppo raffinata da una parte un po’ troppo candida dall'altra.”
Il saggio di Pasolini Poesia d’oggi uscì per la prima volta in “La Panarie”, numero XVII, 97, del maggio-dicembre 1949.
Edizione consultata:
P.P.Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull'arte, a cura di W. Siti e S. De Laude, 2 voll., Mondadori, Milano, 1999 ["I Meridiani"], v.I, p. 323.
Luoghi associati:
Casa ColussiLa parola ROSADA
“In una mattinata dell’estate del 1941 io stavo sul poggiolo esterno di legno della casa di mia madre. Il sole dolce e forte del Friuli batteva su tutto quel caro materiale rustico. Sulla mia testa di beatnik degli anni Quaranta, diciottenne; sul legno tarlato della scala e del poggiolo appoggiati al muro granuloso che portava dal cortile al granaio: al camerone. Il cortile, pur nella profonda intimità del suo sole, era una specie di strada privata, perché vi aveva diritto di passaggio, fin dagli anni precedenti la mia nascita, la famiglia dei Petron: il cui casolare era là, illuminato dal suo sole, un poco più misterioso, dietro un cancello dal legno più tarlato e venerando di quello ancora di quello del poggiolo: e si intravedevano, sempre in cuore a quel sole altrui, i mucchi di letame, la vasca, la bella erbaccia che circonda gli orti: e lontano, in fondo, se si tirava il collo, come in un quadro del Bellini, ancora intatte e azzurre le Prealpi. Di che cosa si parlava, prima della guerra, prima cioè che succedesse tutto, e la vita si presentasse per quello che è? Non lo so. Erano discorsi sul più e sul meno, certo, di pura e innocente affabulazione. La gente, prima di essere quello che realmente è, era ugualmente, a dispetto di tutto, come nei sogni. Comunque è certo che io, su quel poggiolo, o stavo disegnando (con dell’inchiostro verde, o col tubetto dell’ocra dei colori a olio su del cellophane), oppure scrivendo dei versi. Quando risuonò la parola ROSADA.
Era Livio, un ragazzo dei vicini oltre la strada, i Socolari, a parlare. Un ragazzo alto e d’ossa grosse … Proprio un contadino di quelle parti … Ma gentile e timido come lo sono certi figli di famiglie ricche, pieno di delicatezza. Poiché i contadini, si sa, lo dice Lenin, sono dei piccolo-borghesi. Tuttavia Livio parlava certo di cose semplici e innocenti. La parola «rosada» pronunciata in quella mattinata di sole, non era che una punta espressiva della sua vivacità orale.
Certamente quella parola, in tutti i secoli del suo uso nel Friuli che si stende al di qua del Tagliamento, non era mai stata scritta. Era stata sempre e solamente un suono.
Qualunque cosa quella mattina io stessi facendo, dipingendo o scrivendo, certo i interruppi subito: questo fa parte del ricordo allucinatorio. E scrissi subito dei versi, in quella parlata friulana della destra del Tagliamento, che fino a quel momento era stato solo un insieme di suoni: cominciai per prima cosa col rendere graficamente la parola ROSADA.
Quella prima poesia sperimentale è scomparsa: è rimasta la seconda, che ho scritto il giorno dopo:
Sera imbarlumida, tal fossàl
a cres l’aga …
………………………………"
In questo celebre brano, inserito tra le riflessioni teoriche di Empirismo eretico, Pasolini rievoca l'inizio folgorante della sua poesia friulana, sottolineando il valore decisivo, quasi incantatorio, dei suoni della lingua friulana, prima di lui mai restituita in segno grafico.
La lirica cui il poeta fa riferimento è Il nini muàrt, poi inclusa in Poesie a Casarsa (1942).
Edizione consultata:
P.P.Pasolini, Empirismo eretico (1972), in Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W.Siti e S. De Laude, 2 voll., Mondadori, Milano, 1999 ["I Meridiani"], vol. I, pp. 1316-1318.
Una fotografia del '29
“Rivedo una fotografia del ’29, in cui io con un vestito a righe marroni e bianche, compaio sul balcone della Canonica, insieme a una trentina di fanciullini, miei compagni di classe. E' straordinario, ancora non mi riesce di commuovermi di fronte al mio aspetto fiero, al mio ciuffo impudente, alla tenerezza di bronzo della mia carnagione; ancora non mi riesce di non pensare a quel Pier Paolo, come a una specie di Telemaco o di Astianatte, ma già rotto alle avventure più seducenti. Eppure so assai bene so assai bene cos'era quel ragazzino: era, mitologicamente, qualcosa come un incrocio fra Catone e un piccolo Belzebù.”
I dispetti, racconto autobiografico di Pasolini, è uscito il 22 giugno 1947 su "Il progresso d'Italia". E' stato poi ripubblicato anche in Poesie e pagine ritrovate, a cura di Andrea Zanzotto e Nico Naldini, Lato Side 25, Verona 1980, pp.130-131, e in Un paese di temporali e di primule, a cura di Nico Naldini, Guanda, Parma, 1993, pp. 130-132.
Edizione consultata:
P.P.Pasolini, Romanzi e racconti, a cura di W.Siti e S.De Laude, 2 voll., Mondadori, Milano, 1998 ["I Meridiani"], v. I, p. 1318.
Un luogo assoluto dell'universo
“Ricordo il mio primo treno: sono in uno scompartimento di legno con mia madre: mio fratello, no, non c’era. Avevo quindi meno di tre anni. Ma doveva essere la seconda volta che andavo a Casarsa, perché avevo già dei ricordi. Il treno era perfettamente verticale, rispetto alla mèta: ed era la linea più breve che congiungesse il punto di partenza (Bologna? Belluno?) al punto d’arrivo. Ma di Casarsa, non avevo altro ricordo che la casa di mia madre, e soprattutto la botteguccia di merceria di mia zia, a pianterreno. Sicché il treno puntava direttamente verso questa: le rotaie vi arrivavano fin contro la porta aperta e un po’ sgangherata, dipinta di un color verdolino ormai ridotto a un pulviscolo, i vetri pieni di file di cartoline con cuori, rose, ragazze e soldati. Andava dritto lì dentro, in quella bottega di mia zia, perduta in fondo alla terra, alle mie spalle: davanti a me, vicina, c’era mia mamma, che sapeva, che era una di color che sanno, anzi lo era per definizione. Era giovanissima: una bambina anche lei -tanto più che lo è tuttora. Ricordo che era vestita di chiaro, con la sua eleganza di quegli anni (1925,1926). Le rotaie, che puntavano drittissime su Casarsa, come su un luogo assoluto dell’universo, correvano in una campagna assolata: la prima campagna del mondo, appena creata. La vedevo per la prima volta in tutta la storia umana. Era una campagna verde ma bruciata, con dei cespugli sotto l'argine della ferrovia, le cui traversine dovevano ardere al sole. Probabilmente poco più in giù, cominciavano le file di gelsi e di vigne, e le macchie dei boschetti lungo le rogge. Ma io non vedevo altro che una grande radura erbosa, bruciante, irta di qualche polveroso cespuglio che arrivava fin sotto la scarpata. E l'odore di quel caldo mi pareva stupendo, come la vita stessa."
Il treno di Casarsa venne richiesto a Pasolini nel 1957 dalla Direzione Generale delle Ferrovie dello Stato, che aveva progettato un volume antologico sul viaggio in treno e aveva ottenuto il contributo di numerosi scrittori italiani.
Edizione consultata:
P.P.Pasolini, Il treno di Casarsa, in Un paese di temporali e di primule, a cura di Nico Naldini, Guanda, Parma, 1993, pp. 162-163.
L'inaugurazione dell'Academiuta
A Sergio Maldini, Udine
Casarsa, 6 giugno 1947
“Sono appena tornato da Pordenone, anzi, dal sole. Mio padre con un tegamino in mano sta preparando la cena (ma il sole continua a entrare nella camera con una tranquillità incredibile; colora tutto di un giallo etereo, come se non dovesse mai più tramontare). Se tu immaginassi che calma! Sai, si odono dal cortile assolate le voci di alcuni uomini (felici perché fra poco ceneranno e perché hanno il corpo tiepido) miste ai canti ingenui degli uccelli. E’ un momento non mio, per questo te ne parlo così rozzamente. Ma era necessario che ti descrivessi ciò che è, hic et nunc, intorno al mio corpo? L’ho fatto perché tu non mi creda un’immagine. Sono vivo, capisci Sergio? Te ne do l’ultima prova: ho mal di stomaco, sento il tic-tac della sveglia.
(…) L’inaugurazione dell’Academiuta si farà Domenica, 16 giugno. Tu sai che partirà da Udine un torpedone della Filologica. Cerca di avvertire quegli altri tre o quattro gatti che s’interessano di poesia. Ad ogni modo verrò prima io a Udine.”
La lettera fu inviata da Pasolini all'amico Sergio Maldini il 6 giugno 1947. Contiene all'interno il riferimento all'inaugurazione della stanza dedicata alle riunioni dell' Academiuta di lenga furlana, ancora oggi visibile a Casa Colussi nella sua impostazione originaria.
Edizione consultata:
P.P.Pasolini, Lettere 1940-1954, a cura di Nico Naldini, Einaudi, Torino, 1986, pp. 304-305.
Odore di terra romanza
"Chi parte da Venezia, dopo un viaggio di due ore (se prende l'accelerato, magari quello del sabato sera, pieno di studenti e di operai) giunge al limite del Veneto e, per dissolvenza, entra nel Friuli. Il paesaggio non sembra mutare, ma se il viaggiatore è sottile, qualcosa annusa nell'aria.
E' cessata sulla Livenza la campagna dipinta da Palma il Vecchio e da Cima. Le montagne si sono scostate, a nord, e appiattite a colorare il cielo di un viola secco, con vene di ghiaioni e nero di boschi appena percettibile contro il gran velame; e il primo Friuli è tutto pianura e cielo. Poi si infittiscono le rogge, le file dei gelsi, i boschetti di sambuchi, di saggine, lungo le prodaie. I casolari si fanno meno rosei, sui cortili spazzati come per una festa, coi fienili tra le cui colonne il fieno si gonfia duro e immoto. Ma è specialmente l'odore -che fiotta dentro lo scompartimento svuotato - a essere diverso. Odore di terra romanza, di area marginale. Sulla dolcezza dell'Italia moderna c'è come il rigido, fresco, riflesso di un'Italia alpestre dal sapore neolatino ancora stupendamente recente".
Il Friuli è un testo radiofonico di Pasolini, trasmesso dalla Rai l'8 aprile 1953 alle ore 18.45 nel programma Paesaggi e scrittori. Ciclo dedicato al Friuli.
Edizione consultata:
P.P.Pasolini, Il Friuli, in Saggi sulla letteratura e sull'arte,a cura di W. Siti e S. De Laude, 2 voll. Mondadori, Milano, 1999 ["I Meridiani"], v.I, p. 459
Ogni estate, si giungeva alla casa materna
"Mi vedo, appena sceso dal treno, lungo la via tanto famigliare per dove, all'inizio di ogni estate, si giungeva alla casa materna; ora sul paese si stendeva come un'immensa piaga luminosa nel cui grembo sonoro camminavano ragazzi con abiti e berretti di pelo che io non avevo mai visto. Insieme a Guido salii nella vecchia stanza che ci aveva accolti a ogni estate un poco più grandi, e mi addormentai subito, sfinito com'ero dal viaggio notturno. Oh, il risveglio in quella luce fredda e candida! Ristorato dal sonno, mentre il meriggio volgeva alla sera, sentivo respirare intorno a me una vita la cui troppa famigliarità mi dava una specie di struggimento. Col cuore devastato dall'emozione riconoscevo i vecchi gesti (e li interpretavo in un ordine particolarissimo di affetti e ricordi: indizi di avvenimenti cari e dimenticati); riconoscevo gli odori serali del fumo, della polenta e del gelo; riconoscevo le inflessioni della lingua, le sue vocali aperte, le sue sibilanti che giungevano, in un attimo di strana lucidità, a sfiorare il senso segreto, inesprimibile, nascosto in tutto quel mondo. Tutto ciò mi pareva un'avvisaglia di gioie future, di avventure minime ma capaci di straordinarie consolazioni; ne ero certo."
Nel brano, tratto dalle pagine di Atti impuri, Pasolini rievoca le promesse di felicità delle vacanze estive che ogni anno lo portavano a Casarsa insieme al fratello Guido.
Edizione consultata:
P.P.Pasolini, Atti impuri, in Romanzi e racconti, a cura di W.Siti e S.De Laude, 2 voll., Mondadori, Milano, 1998 ["I Meridiani"], v. I, pp. 34-35.
Un "camerone" a casa di mia nonna
"Non ho voluto dormire nella solita camera, come s'usa. Ma a casa di mia nonna esiste un cosiddetto "camerone", non comunicante con il resto della casa ma a cui si accede per mezzo di una scala esterna, come se ne vedono spesso nelle case di campagna. Lì sono solo, in compagnia del rumore delle oche. L'ho fatto scopare e pulire, mettere due brutte tende rosse alle finestre; portare un letto, un comodino, due tavolini, sedie, e sul baule i miei libri: stanza-soffitta da bohemien rustico. Inarrivabile."
Il brano è tratto da una lettera inviata da Casarsa il 18 luglio 1941 all'amico Luciano Serra.
Edizione consultata:
P.P.Pasolini, Lettere 1940-1954, a cura di Nico Naldini, Einaudi, Torino, 1986, p. 47
Luoghi associati:
Casa ColussiQuei quindici giorni militari
"Da quei giorni che serie di avvenimenti! Sono qui illeso, da due mesi -ormai- e la mia vita è come prima. Ma che avventura quei quindici giorni militari! Ora sono così riequilibrato che sto aprendo perfino una scuola media privata per gli studenti di qui!"
Nella lettera, inviata da Casarsa il 29 ottobre 1943 a Fabio Luca Cavazza, Pasolini allude al servizio militare a Livorno, da cui era rocambolescamente fuggito dopo l'8 settembre, raggiungendo Casarsa con mezzi di fortuna e a piedi.
Edizione consultata:
P.P.Pasolini, Lettere 1940-1954, a cura di Nico Naldini, Einaudi, Torino, 1986, p. 186
Luoghi associati:
Casa ColussiPaura dei rastrellamenti
"Stanotte sono venuti per arrestarmi, ma io ero a Versuta, nascosto lì per paura dei rastrellamenti. Oggi io, Pino, Gastone etc. abbiamo avuto interrogatori etc., con l'accusa di aver messo noi i bigliettini per le strade. Però, grazie a Dio, la nostra innocenza è emersa, e adesso siamo liberi. Ti racconterò i particolari tragicomici.
Dovresti farmi un piacere: parlare ai professori di San Vito di questi due ragazzi Ovidio Colussi e Giovanni Cappelletto; due bravi giovani, seri e diligenti. Io non ti chiedo una banale raccomandazione. Basterà che tu accenni loro la serietà dei giovani, e, perlomeno, l'ambizione della nostra preparazione."
Il brano è tratto da una lettera inviata da Casarsa nel maggio 1944 a Federico De Rocco, amico e pittore di San Vito al Tagliamento.
Il ragazzo casarsese Ovidio Colussi, che viene citato nella lettera, sarebbe in seguito diventato un interessante scrittore e poeta in lingua friulana.
Edizione consultata:
P.P.Pasolini, Lettere 1940-1954, a cura di Nico Naldini, Einaudi, Torino, 1986, p. 196
Luoghi associati:
Casa Colussi