Via Menotti
Casarsa della Delizia
Il Borc di Sc'iavez e il Borc di Zora (attuali via Menotti e via Valvasone), inseriti nel contesto urbano di Casarsa, rappresentano idealmente quel mondo contadino che Pier Paolo Pasolini eleva a borgo natio e che è alla base della sua poetica degli anni friulani. In questa strade sono ancora visibili tracce di una architettura rustica fatta di portoni e di cortili che un tempo si animavano di echi familiari divenuti struggenti nell’odore della polenta e nel fumo del focolare e che condensavano l’antica storia del paese. In uno dei primi portoni di borc di sciavez troviamo sulla chiave di volta dell’arco lo stemma della famiglia Colussi del 1605. In uno di questi portoni Pasolini ambienta idealmente il primo atto dell’opera teatrale “I turcs tal Friul”.
All’incrocio delle due strade si trovava la chiesa della Madonna delle Grazie, eretta dopo lo scampato pericolo dell’invasione dei turchi del 1499 e che Pasolini ha mirabilmente raccontato nell’opera teatrale “I Turcs tal Friùl. La Chiesa, di cui oggi si può vedere la traccia del perimetro nella attuale pavimentazione lapidea, è stata demolita nel 1880. Al suo interno si trovava la famosa lapide dedicatoria, che è stata spostata dopo la demolizione presso la Chiesa di Santa Croce. Nella piazza, prospicente l’attuale municipio, si trova anche la Chiesa parrocchiale Santa Croce e Beata Vergine del Rosario. I due caratteristici campanili, che insistono sull’edificio e che i casarsesi chiamano "zimui" (gemelli), rimandano a soluzioni di architettura estranea alle tradizioni locali e paiono modellati sull'esempio della Chiesa della Santissima Trinità dei Monti di Roma.
“Ta un portòn di Ciasàrsa ‘a è ‘na vecia stèma. ‘A figùra un fùs, e, sot, ‘a ghi è scrît: COLUS. Colussi ‘a è il nùstri nom. Jo i ài jodût chè stema – frutìn, e in chel ‘a sunàvin lis ciàmpanis di un antic miesdì. Pusât tal portòn ‘a stave un donsèl, a spetâ il disnâ, che, dal fogolâr, belsà ‘a fumàva. Chèl donsèl ‘a si clamàva Colussi, còma nuàltris”.
(Sopra un portone di Casarsa c’è un vecchio stemma. Raffigura una conocchia, e, sotto, vi è scritto: COLUS. Colussi è il nostro nome. Io ho visto quello stemma – fanciullo, e intanto suonavano le campane di un antico mezzogiorno. Poggiato al portone stava un giovinetto, in attesa del desinare, che, dal focolare, già certamente fumava. Quel giovinetto si chiamava Colussi, come noi).